Tra i provvedimenti più assurdi partoriti ultimamente, quello delle dimissioni online è forse da inserire sul podio, al primo posto, senza concorrenza.
La storia:
Dal 12 Marzo 2016 sarà operativa la procedura delle “dimissioni online”.
La nuova procedura è OBBLIGATORIA.
Quindi vengono messi in cantina i vecchi sistemi cartacei e a voce (<me ne vado!>,questo era già stato pensionato).
I dimissionari, dal 12 Marzo 2016, possono accedere all’istituto delle dimissioni solo se in possesso del codice Pin INPS e della registrazione al Portale Clic Lavoro o mediante l’ausilio di un patronato o di una organizzazione sindacale.
Restano fuori dal campo di applicazione il lavoro domestico e le risoluzioni consensuali disposte nelle sedi conciliative.
In caso diverso, le dimissioni sono inefficaci.
Dissertiamo un po’ su quanto sopra, facendo un esempio:
Il lavoratore ha un diverbio in azienda con un superiore e/o un collega e se ne va “sbattendo la porta” e scrivendo, frettolosamente, due righe di dimissioni.
Che fa l’azienda?
Richiama il lavoratore e lo/a invita a seguire la procedura cervellotica sopra esposta, o a riprendere il lavoro.
Il lavoratore si disinteressa e non fa nulla.
Che succede a questo punto?
L’azienda si vedrebbe così costretta a licenziare il lavoratore e da ciò risulterebbe obbligata a pagare la tassa di ingresso alla Naspi istituita dalla “Legge Fornero” nel 2012, ad oggi pari a 489,95 € per ogni anno di lavoro effettuato, fino ad un massimo di 3 anni pari ad € 1.469,85.
E’ chiaro, anche ai non addetti ai lavori, che è un’ingiustizia che fatalmente ricade sul datore di lavoro come già altre in precedenza.
E’ auspicabile che questa norma, che altro non è che l’ennesimo regalo ai patronati e ai sindacati, venga rivista al più presto anche prima della sua entrata in vigore e che un libero diritto del cittadino lavoratore non debba essere riversato sul “suddito” datore di lavoro.
Il nostro Studio è comunque a disposizione delle aziende per i chiarimenti necessari.